Incontro gruppo di lettura – martedì 29 marzo 2022


“Le storie sono storie, come ti arrivano così le devi raccontare.”

Quseto è il romanzo del cuore, quello che lo scrittore ha conservato per dieci anni prima di donarlo ai suoi lettori perché, parafrasando le sue parole, “le storie mica ti chiedono il permesso”.

Maurizio De Giovanni torna in libreria e lo fa con una storia d’amore, un amore diverso che vede protagonisti un nonno e un nipotino. Un dialogo non dialogo che contiene all’interno una forma d’amore che non si manifesta con gesti affettuosi ma attraverso la logica razionale dei numeri e della matematica.

Dopo la morte dell’adorata moglie Maddalena, Massimo De Gaudio, professore di matematica in pensione, trascorre le sue giornate a Solchiaro, un’isola del golfo di Napoli, nella casa che era stata luogo di villeggiatura quando la moglie era ancora viva e la figlia Cristina viveva ancora con loro. Taciturno e poco loquace, il professore vive una vita appartata confortato dalle sue abitudini e da una routine che comprende la pesca nei mesi estivi. La figlia si è trasferita al nord dopo il matrimonio con un ricco imprenditore padano. Massimo non la vede spesso, solo nei mesi estivi quando Cristina in compagnia del figlioletto Francesco, detto Checco, torna nell’isola per le vacanze. Massimo non è mai stato espansivo nemmeno col nipotino, suo muto compagno di pesca, non lo ha mai preso in braccio, non ha mai costruito con lui un rapporto solido fatto di baci e tenerezza, ma Checco lo adora, ama quell’uomo silenzioso che pesca in sua compagnia. Ma una fredda sera invernale il professore riceve una telefonata: la figlia è rimasta vittima di un incidente stradale e insieme al marito Luca ha perso la vita mentre Checco, che era in macchina con loro, sta lottando tra la vita e la morte. Come si reagisce ad una notizia del genere? Non certo come fa Massimo che trema all’idea di lasciare l’isola. Non prova dolore per la morte della figlia, ma un freddo distacco. Andare al nord per i funerali e per capire come sta Checco è solo una incombenza, qualcosa da fare per poi tornare a casa. Ma è veramente così? Ci si può davvero distaccare dal proprio sangue, avere un atteggiamento freddo e controllato?

“Si chiese per quale motivo non provasse dolore. Si chiese perché non fosse straziato, distrutto. Si chiese perché l’emozione più chiara che sentiva dentro fosse il fastidio di dover andare dove stava andando, di separarsi dalla sua quotidianità blindata.”

Massimo riesce perfino a dormire la sera prima del funerale della figlia. Deve sentirsi in colpa per questo? E il nipotino? In un primo momento vorrebbe perfino staccare la spina alle macchine che lo tengono in vita. Il risveglio dal coma significa comunicare al nipote che è rimasto solo al mondo. E lui vorrebbe evitare d’infliggere a Checco altro dolore, ma poi comincia a parlare con lui, parla ad un bambino quasi sconosciuto che non sa nemmeno se può ascoltarlo dal suo sonno indotto. No, non può davvero tornare alla sua isola, non può abbandonare il nipote che è anche l’unico erede di una fortuna. Ci sono decisioni da prendere, un mistero da svelare e poi c’è la matematica, il porto sicuro di Massimo, legante di un rapporto che è in itinere.

“Ciao, signore. Mi hanno detto che devo parlarti, e io ci provo. Credo di essere la persona meno adatta, perché normalmente io non parlo mai; non perché io stia sempre solo… Sto intere giornate senza parlare, sai, signore. A volte nemmeno ci faccio caso, seguo i miei pensieri, ripercorro teorie, faccio calcoli, cose che possono sembrare strane, ma che per me sono una specie di casa solo mia.”

Una domanda è rimasta impressa nella mia testa durante la lettura de L’equazione del cuore: dobbiamo amare i nostri cari perché nelle nostre vene scorre lo stesso sangue? Dobbiamo lasciare che il senso di colpa ci consumi, se non riusciamo ad essere all’altezza delle aspettative altrui?

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