Incontro 25 ottobre 2016

LA FORZA DI VOLONTÀ A VOLTE NON È TUTTO.

Louisa Clark ha sempre vissuto una vita ordinaria: viveva con i suoi, dormendo in una minuscola stanza; amava lavorare come cameriera e stava con Patrick da sette anni.
Tuttavia, la sua vita subì di colpo un cambiamento, con la perdita del suo lavoro si è ritrovata spaesata e costretta a vagliare nuove opportunità in base alle sue capacità.
E così che entra nella vita di Will Traynor, un trentacinquenne uomo di successo, brillante, rimasto vittima di un incidente che gli ha sconvolto la vita.
La presenza di Lou cambierà in positivo la vita, porterà una ventata d’aria fresca e di spensieratezza, inizieranno a conoscersi e pian piano lo spingerà a vivere la sua vita; viceversa Will porterà Lou a riflettere sulla vita e passioni.

"È una città così piccola. Così limitante. Dove tutto ruota intorno al castello. […] Penso sempre che questo sia uno di quei luoghi dove la gente desidera tornare quando è stanca di tutto il resto, o quando non ha abbastanza immaginazione per andare da qualche altra parte."

Alla base del libro vi sono due concetti fondamentali: la cura e il cambiamento. La vita di entrambi i protagonisti viene stravolta; lui per uccidere perde la voglia di vivere e si sente preso da un secondo di apatia, lei sarà investita da lui. Il prendersi cura giorno per giorno di lui, porterà Lou a comprendere che oltre la sua cittadina, la sua casa c'è ben altro, sarà investita dal cambiamento. Un libro umanitario che ti fa comprendere l'importanza del prendersi cura degli altri e quanto questo possa essere difficile. A volte ci lasciamo trasportare troppo dalle emozioni ed è quello che succederà a Louise anche se in molti casi ciò può giovare alla vittima/paziente. Il loro legame sarà sempre più forte ogni giorno basato su un interscambio di notizie e passioni e sull'iniziativa messa in atto dalla stessa Lou. Mi ha colpito molto la frase: "Questo accadeva prima di me", si pensa che la solo presenza e costanza dell'amore possa far cambiare decisione a soggetti relegati in condizione di salute con prognosi segnate. Tutto ciò, ahimè non basta. Verrà trattata vista la condizione del protagonista, un tema caro come l'eutanasia, oggi giorno difficile da affrontare ma sempre attuale. Vi consiglio anche la trasposizione cinematografica, Emilia Clarke nella sua spensieratezza e forza, rappresenta la protagonista del libro, stessa cosa per il tenebroso e dolce Sam Claflin. Lasciatevi trasportare dalle emozioni e troverete che alla fine il finale non è poi così scontato.

da: www.qlibri.it/narrativa-straniera/romanzi/io-prima-di-te/ 

One Response to “Incontro 25 ottobre 2016”

  • admin scrive:

    IO PRIMA DI TE

    di Jojo Moyes

    (un commento di Valeria Gramolini)

     

    Forse a qualcuno un libro come questo non aggiunge niente a ciò che già sa sull’argomento, nè, d’altra parte, si tratta di letteratura così alta, fine, innovativa da sorprendere o suscitare ovazioni, tuttavia libri così “devono” esistere.

    Essi hanno il pregio d’ illuminare zone della vita personale e collettiva su cui raramente vengono accesi i riflettori, a meno che non si tratti di casi eclatanti (vedi Eluana), che provocano clamore o fanno crescere l’auditel come le paraolimpiadi.

    Qui si parla della quotidianità di un tetraplegico, il quale, come accade ormai sempre più spesso, invoca la liberazione del suicidio assistito, da effettuarsi in quel paese nel cuore dell’Europa, ma così poco europeo, dove fuggono  capitali non dichiarati e corpi esausti e sfiancati da sofferenze fisiche e psicologiche che se lo possono permettere.

    La lettura di questo romanzo è agevole, facile ma non banale, e mai drammatica, benchè l’argomento sia tragico. Il tono è divulgativo ed accattivante per il tocco leggero dell’autrice che non indugia mai sul sentire intimo e profondo del protagonista maschile se non alla fine.

    Jojo Moyes spezza infatti la pesantezza della situazione con note frivole ed allegre, che invitano a proseguire la lettura senza farci sprofondare nella tristezza che ci si aspetterebbe, visto l’argomento.

    La storia è all’incirca questa: una ragazza un po’ sconclusionata, apparentemente sciatta ed immatura, si trova per forza di cose a fare la badante per la prima volta  proprio ad un tetraplegico.

    Repulsione, curiosità, paura, cedimenti emotivi…attraversano l’animo della giovane, non avvezza, come molti, a confrontarsi con situazioni così esasperate.

    Il suo compitò sarà quello di distogliere l’uomo dal suo proposito ed avrà sei mesi di tempo per riuscirci., cosa questa non facile visto che il soggetto, abituato a vivere alla grande e perfettamente realizzato prima dell’incidente, non fa alcuno sforzo per accettare la nuova condizione. Tuttavia, attraverso punzecchiature, liti ed intemperanze reciproche, tra i due si instaura un rapporto d’amicizia.

    Will addirittura, benchè privo di tutto o quasi sul piano fisico, ha una mente brillante, acuta e raffinata e, colpito in qualche modo dalla buona volontà di Louise, la stimola ad emanciparsi dalla famiglia e anche dalle proprie titubanze. Ed allora, da brutto anatroccolo, ecco che la ragazza sente che si sta trasformando in un bel cigno. Acquista sicurezza, capacità ed intraprendenza e ciò proprio grazie ad una persona quasi totalmente immobilizzata!

    Strana la vita…Nel giro di poco tempo l’amicizia diventa sentimento amoroso, almeno da parte di Louise, la quale, come alcune persone che amano troppo o male, tende a diventare dispotica. Ormai abituata a soccorrere Will in tutto e per tutto non comprendere la necessità dell’uomo di decidere della propria esistenza ed entra in conflitto con lui, perchè, neppure dopo i suoi innumerevoli e spesso riusciti sforzi di tornare a fargli apprezzare la vita, compreso il dono di sè, l’uomo non desiste e  arriverà fino in fondo

    Attorno ai personaggi principali ruotano altre persone, altre relazioni, ognuna con caratteristiche ben delineate e dinamiche reattive uniche: le reciproche figure famigliari, i rispettivi fidanzati, il bravo infermiere che si prende cura di Will, l’ambiente ostile e giudicante, pieno di barriere ed ostacoli che accentuano la solitudine del disabile ed il suo estraniamento dalla società dei “normali”, ma di contro anche i sempre più numerosi e sofisticati ausilii tecnologici in grado di rendere quelle esistenze ai margini certamente assai dignitose.

    Ma per scoprirli e sperimentarli, per trovare e godere di stimoli e soluzioni che possano trasformarequelle condizioni così limitanti in qualcosa di meno gravoso, occorrono alcune cose basilari: un adeguato supporto umano e professionale, la capacità culturale per accedervi ed il denaro per riuscire a realizzarli.

    Tutto ciò però non era abbastanza per Willy e forse non lo sarebbe stato neanche per qualcun altro, nè sarebbe sufficiente a far cambiare idea a chiunque creda nella morte quale unica fonte di liberazione dal dolore.

    Fatto sta però che molto di più si potrebbe fare per queste persone, soprattutto sotto l’aspetto dell’accoglienza e del rispetto di quel loro limite. L’amore e la solidarietà sono metà della cura, tuttavia l’ultima parola spetta al diretto interessato, che dovrebbe avere la possibilità di esprimere la sua opinione al riguardo prima di non essere più in grado di decidere autonomamente. Sto parlando di testamento biologico naturalmente. Ma che possibilità avremmo mai nel nostro paese di giungere ad una qualche forma di suicidio assistito visto che oggi  in Italia ben l’ottanta per cento dei ginecologi sono obbiettori di coscienza rispetto all’aborto, pur nei casi consentiti dalla legge?

    Tornando al libro, che piaccia o meno, esso è pieno di buone intenzioni. C’invita a riflettere , a capire, a guardarci dentro, ci mette in discussione e ci rinnova attraverso il confronto con gli altri e con l’eventualità che anche a noi o ad un nostro familiare tocchi la stessa sorte di Willy. E a me tutto questo, così come le buone intenzioni, piace assai, oserei dire tanto quanto un meritato premio Nobel.

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