Intervista Giovanni e Francesco Belfiori

In occasione della presentazione del libro “Le parole mute del tempo” intervistiamo i due autori Giovanni e Francesco Belfiori.

D. Il protagonista del romanzo è un poliziotto della stradale, è forse un modo di ricordare l’attività svolta da vostro padre?

R. Non è un ricordo, è semplicemente un libro che nasce anche dal fatto che siamo entrambi figli di un poliziotto e questo significa aver avuto, fin da bambini, una divisa dentro casa, per cui la divisa, per noi, è stata un’abitudine.

D. Nella realtà è possibile che un poliziotto della stradale venga coinvolto in indagini di questo tipo?

R. Sì, la polizia stradale, almeno per i comandi più importanti ha un nucleo di “polizia giudiziaria” perché anche la stradale fa indagini; tanto per fare alcuni esempi, traffico di camion rubati, merce rubata in autostrada, traffico di uomini ecc. .

D. Possono riguardare anche omicidi?

R. Certamente, dipende molto da come le indagini si sviluppano, dipende anche da chi interviene prima sul posto e da chi assume prima le indagini.

D. Nella quasi maggioranza dei casi, il libro nasce da una idea di uno solo autore, come è nato il romanzo a quattro mani?

R. Giovanni: avevo scritto un primo nucleo che per me era già un romanzo concluso di circa 100 pagine dattiloscritte in cui il protagonista era chiaramente Livio Bacci. Prima di farlo leggere a qualche editore l’ho fatto leggere ai miei amici e ai miei fratelli, ho un altro fratello più grande e Francesco che è il più piccolo.

Il problema è nato quando Francesco non è che mi ha risposto semplicemente dicendo “bello” oppure “brutto”, lui mi risponde dicendo: secondo me a pagina tal dei tali dovresti approfondire di più, quella cosa lì la devi cambiare, ma perché là non hai detto questo invece di quest’altro ecc.

La prima mail, forse hai ragione! gli rispondo inviandogli il testo con alcune correzioni e lui mi risponde; quello lì l’avrei scritto in modo diverso e così via.

Dopo qualche mail gli dico: stai a sentire, lo vogliamo scrivere insieme? E così è stato.

   Francesco: abbiamo proceduto nella stesura senza quasi mai incontrarci, io vivo a San Angelo in Vado e Giovanni vive e lavora a Roma.

Quando Giovanni mi spedì le prime 100 pagine, il libro mi è subito piaciuto altrimenti non mi sarei speso in più di qualche complimento.

Mi è piaciuto e ho rivisto, in quelle pagine, una parte della mia vita che avevo dimenticato, quella del figlio di un poliziotto, avevo rivisto anche gli anni in cui io ero bambino e Giovanni un adolescente. Ho rivisto i rituali, i posti, le sensazioni , gli odori di quel periodo ed è stato automatico cimentarmi in quella scrittura.

Com’è scrivere a quattro mani? mi ha dato la garanzia di obiettività e di condivisione, tutto quello che scrivevo non era per me, era per noi e questo mi ha costretto a scrivere seguendo una logica molto diversa.

In più mi sono trovato nella condizione di approfondire, a priori, la storia e il personaggio. Livio Bacci si muove in un piano cartesiano che io e mio fratello conosciamo molto bene, paradossalmente nel libro abbiamo costruito un personaggio che esce fuori con una percentuale alta ma non al cento per cento. Perché?  perché quando scrivi in due sei costretto a far davvero vivere il personaggio, quando scrivi da solo il personaggio, nella maggior parte dei casi, nasce e si crea man mano che scrivi.

Quando scrivi in due il personaggio deve essere “vivo”, devi conoscere i suoi gusti musicali, i suoi orari e tante altre cose che nel libro non ci sono.

Scrivere in due mi ha dato una garanzia di muovermi nell’ambito del verosimile.

D. La prima parte del libro è la descrizione di una città, diciamo Fano, e la vita degli anno 80, per voi è stato un modo per ricordare quel periodo o è una cosa essenziale ai fini della trama del romanzo?

R. La parte degli anni 80 è centrale; il romanzo si divide in tre parti, l’inizio che è il presente cioè il 2000, poi la parte centrale gli anni 80 e la parte finale gli anni 2000.

La parte centrale è essenziale perché fa parte della trama, Livio Bacci poteva solamente ricordare cosa era accaduto e poi proseguire il racconto nel tempo attuale. Abbiamo voluto scrivere un vero feed-back, passo indietro, perché secondo noi rendeva molto bene come Livio si era comportato in quel momento. È servita, alla trama, per dare un senso alla sua personalità, senza quella parte avremmo stentato a capire bene perché Livio si appassiona tanto e in quel modo a quel caso, non soltanto perché l’aveva vissuto in prima persona ma perché negli anni 80 conosce un’altra persona che per lui è importante, un altro poliziotto. Livio Bacci conosce un Commissario di polizia che si chiama Cosimo Labufala e quel commissario in qualche modo lo farà crescere. (il contributo sonoro è il primo incontro fra i due).

Tant’è vero che per noi il libro è “Una storia degli anni 80”, diventato poi sottotitolo del libro.

D. Concludiamo questa intervista prima di tutto ringraziandovi per la vostra gentilezza e con un’ultima domanda: qui si parla di una prime indagine, ce ne sarà un’altra?

R. Abbiamo scritto più di una cosa, dipende dall'editore. Se l’editore pensa valga la pena andare avanti per un secondo caso avrete il “piacere” di leggere una nuova avventura di Livio Bacci.

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Contributo audio della serata

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