Incontro Gruppo di Lettura – mercoledì 25 ottobre 2023

Incontro spostato da lunedi 20 a mercoledì 25

Commento in fondo all'articolo (Valeria G.)

L’ incredibile vicenda è stata scoperta proprio da Scalise, giornalista e autore di saggi e di inchieste sull’antisemitismo. Incuriosito da una piccola nota scovata ne La storia degli ebrei in Italia di Attilio Milano. “Decisi di prendermi un anno sabatico e di partire per andare a cercare documenti su questa vicenda – racconta Daniele Scalise in un’intervista Ansa-. Aiutato dalle fonti raccolte nel mondo, negli archivi del Vaticano, nelle biblioteche ebraiche negli Stati Uniti e a Roma, ho ricostruito la storia ed il contesto che era quello del precipitare del potere temporale della Chiesa.

C’è una stretta connessione tra la storia di Edgardo e il contesto. Pio IX aveva utilizzato questa vicenda non solo perché era abituato a gesti prepotenti e arroganti nei confronti delle comunità ebraiche, ma perché sentiva che la terra gli crollava sotto i pedi e voleva dare un segno della sua potenza. Lui ha vinto una battaglia, ma perso una guerra”

Con il romanzo Un posto sotto questo cielo “ho mantenuto il racconto storico e introdotto personaggi di invenzione. Mi interessava molto esplorare l’animo e la psiche di questo povero bambino, ragazzo ed uomo, la cui esistenza è stata maciullata da questa storia. Ho trovato i piccoli diari che Edgardo aveva scritto nel convento in cui è cresciuto“. Il romanzo narra, come dichiara lo stesso Daniele Scalise, una “storia tragica, infame di questo sopruso, di questa violenza, non c’è altro aggettivo per definire l’orrore di questa vicenda”..

La vicenda tocca tutto il mondo

Sulla vicenda, all’epoca, si interessano le cancellerie di mezza Europa e i giornali di tutto il mondo. È un fatto terribile, che segna il corso della storia, fa traballare l’immagine dello Stato Pontificio e suscita l’indignazione internazionale. Intellettuali e politici di tutta Europa ne chiedono il rilascio, persino Napoleone III scrive una lettera direttamente a Papa Pio IX, e come lui il Presidente degli Stati Uniti e l’Imperatore d’Austria. Ma il Papa si rifiuta di tornare sui suoi passi. Quel bambino nato in una famiglia ebrea era ormai affidato alle cure della Chiesa cattolica, visto che una giovane fantesca aveva raccontato di averlo miracolosamente salvato mentre stava per morire per colpa della febbre, battezzandolo in gran segreto.

La storia di un bambino e poi un uomo tormentato

È così che inizia la storia di un bambino diventato simbolo di fazioni opposte e di un’epoca fragile, la storia di un ragazzo solitario, di un uomo tormentato da una profonda nevrosi maniaco-depressiva. E fin quasi all’ultimo giorno la vita di Edgardo sarà quella di una pedina innocente sacrificata sulla scacchiera dei potenti. Una vicenda che ha segnato gli ultimissimi e tumultuosi anni di agonia del potere temporale del Papa e ha allungato la propria ombra fino alle polemiche sulla beatificazione di Pio IX voluta da Giovanni Paolo II.

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Valeria G.

UN POSTO SOTTO QUESTO CIELO di Daniele Scalise

 

E’ questo il titolo che prende il romanzo di Daniele Scalise, edito da Longanesi nel 2023 ed ispirato alla tristissima storia di Edgardo Mortara, precedentemente indagata e storicamente documentata dallo stesso autore in un saggio di 25 anni fa, edito da Mondadori e dal titolo IL CASO MORTARA. Per la verità anche altri si sono occupati della vicenda in passato, come Vittorio Messori nel libro IO, IL BAMBINO EBREO RAPITO DA PIO IX° e l’antropologo americano David Kertzer con Brunello Lotti ne PRIGIONIERO DEL PAPA RE. In ogni caso la vicenda compare per la prima volta nel libro LA STORIA DEGLI EBREI IN ITALIA di Attilio Milano, in cui figurano anche i diari autobiografici del Mortara, utilizzati da Scalise per la costruzione del romanzo.

Quello di Edgardo non è l’unico caso di rapimento di un bambino ebreo da parte della Chiesa cattolica con lo scopo “benefico” di sottrarlo alla “nefasta” influenza di coloro che avevano ucciso Cristo; ve ne furono infatti molti altri ma nessuno divenne così famoso grazie all’interessamento della prestigiosa famiglia, che poteva contare su appoggi importanti, come i sovrani di Francia e di Austria, i quali però non riuscirono a modificare il volere dell’intransigente Pio IX°.

Il bambino, strappato nel 1848 ai suoi amorevoli genitori e ai numerosi fratelli all’età di 7 anni e battezzato da piccolo da una serva perché molto malato, come poi risultò dal processo, dopo essere stato prelevato a forza dalla gendarmeria papale, fu reso inavvicinabile, pesantemente indottrinato alla “vera fede” e subdolamente plagiato dall’inflessibile e umorale papa fino a condurlo ad una disastrosa schizofrenia. Dopo mesi di segregazione ed internamento, benché pieni di premure, il bambino versava sia fisicamente che psichicamente in condizioni pietose, rifiutava il cibo, era in preda a svenimenti, disorientato tra le varie figure che si occupavano di lui, soggiogato mentalmente dal potere del Papa e totalmente confuso tra ciò che gli era stato impartito prima, in seno alla famiglia, e le idee su Dio che gli venivano inculcate poi, compreso l’odio per gli ebrei e quindi per i suoi stessi famigliari.

Con un linguaggio straordinariamente convincente e formalmente adeguato allo stile dei tempi (sembra a tratti di leggere il Manzoni), nonché estremamente accurato sul piano della ricostruzione storica di ambienti, tipologie di personaggi, scenari e figure realmente esistite accanto ad altre di invenzione, con dialoghi incalzanti e realistici, Scalise riesce a far immergere il lettore nell’atmosfera cupa ed inquietante del mondo ecclesiastico della seconda metà dell’800, quando, dopo le battaglie risorgimentali e la conquista di Roma da parte dello stato sabaudo, quel potere temporale così saldamente impugnato ed esercitato dal “Papa Re” per ben 25 anni, si riduceva drasticamente e veniva ristretto al solo Vaticano.

Ciò nonostante l’influenza di quell’uomo così carismatico sul piccolo Edgardo era stata così profonda che, neppure quando la situazione politica mutata e la maggiore età gli avrebbero permesso di scegliere il proprio destino, l’ebreo battezzato ebbe la forza di sottrarsi a quel plagio così radicalmente interiorizzato. Edgardo ripudia la famiglia originaria e decide di farsi prete, prendendo il nome di Don Pio. Risulta però totalmente inadeguato al ruolo che si è scelto. Pur preparatissimo sul piano dottrinale ed ottimo oratore è in preda a crisi improvvise rabbiose o catatoniche, privo di empatia ed altezzoso. Viene quindi spesso allontanato dai vari incarichi, compreso l’insegnamento, perché incapace di integrarsi in qualsiasi contesto e così vaga di nazione in nazione, di chiesa in chiesa, fino agli Stati Uniti, dove fa dei gran sermoni allo scopo di raccogliere fondi per costruire templi e missioni, ma sempre con un malessere così profondo da farlo sentire come già morto o sull’orlo della pazzia. Verrà infatti il momento in cui, con i lutti famigliari ed altri incontri rivelatori, sarà costretto a prendere coscienza di non aver mai scelto davvero niente nella sua vita e che la sua personalità, la sua identità è frutto di una costruzione, e che il suo costruttore come spesso accade alle vittime, è allo stesso tempo la persona più odiata ma anche la più amata. E questa sarà una verità devastante, ma infine anche rasserenante, una volta compresa.

Edgardo finisce la propria travagliata esistenza nel 1940 in un monastero di Liegi, perseguitato fino alla fine, quando un manipolo di gendarmi tedeschi, nella spietata caccia all’ebreo, si metteranno sulle sue tracce.

Come poteva non essere tratto un film da una storia così particolare ed avvincente? Lo fa Bellocchio in un’opera presentata a Cannes di recente dal titolo RAPITO, che pare altrettanto ben riuscito. Vedremo…

Intanto bisogna però anche aggiungere che la storia ci riguarda da vicino, essendo PIO IX° nativo di Senigallia col nome di Giovanni Maria Mastai Ferretti e, che provenendo da una famiglia potente, conosceva bene l’ambizione e l’arte di esercitare il comando. Ciò non di meno all’inizio del suo mandato sembrò papa liberale e riformista. Simpatizzò per il liberale moderato Gioberti, concesse la libertà di stampa e l’amnistia generale ai prigionieri politici, ma ben presto mutò orientamento. Per non contrariare il re d’Austria cattolico si rifiutò di inviare le truppe pontificie a sostegno della 1° guerra d’indipendenza. In fuga da Roma nel 1849 quando fu proclamata la Repubblica romana vi tornò con l’aiuto dei francesi e con il Sillabo del Concilio condannò Garibaldi, i garibaldini e la civiltà moderna. In seguito però si aprì alle innovazioni tecniche approvando la costruzione della ferrovia.

Durante il suo lunghissimo pontificato si occupò anche di questioni dottrinali. E’ di sua invenzione il dogma relativo all’infallibilità del Papa e quello della Immacolata Concezione. Chissà se questo fu il motivo per il quale papa Carol Wojtyla lo “beatificò”.

Non minori onori ha ricevuto dalla città di Senigallia, che recentemente gli ha dedicato uno stemma enorme al centro di quella che un tempo era conosciuta come Piazza Garibaldi e che tutti però sono soliti chiamare Piazza del duomo. E ciò benché anche molti senigalliesi, ai tempi delle battaglie per l’indipendenza, abbiano dovuto assaggiare la furia vendicativa e persecutoria del PAPA RE.

 

 

Guido Peverieri – Colleghi miei. Monte Porzio 18 agosto 2023

Evento 18 agosto 2023 con quattro audio relativi agli interventi delle figlie e nipoti di Guido.

Una bella serata e un ricordo del nostro collega.

 

 

 

 

Alcuni audio, brani letti dalle figlie e nipoti di Guido, molto ma molto brave.

Evento 18 agosto 2023

Letture estive – prossimo incontro 20 settembre

Incontro con l’autore – Massimo Conti

Gruppo di lettura – 25 luglio 2023

Ahamed Rishcaudinarom è proprietario dell’OplàKebab. La moglie Myriam e i figli Rahmaan, Retia e Christho lo raggiungono, via mare, su di un barcone. Qualche tempo dopo, arriva anche il loro nonno.

Nella cittadina dove vivono si deve eleggere il nuovo sindaco. Uno dei due contendenti è una donna, a capo di un partito xenofobo. Rahmaan s’innamora, ricambiato, di Giulia figlia della candidata sindaca: la relazione è osteggiata dai genitori di lei.

L’attività della kebabberia procede bene, ma tutto si complica quando, a pochi metri dell’OplàKebab, apre la norcineria Viva il Maiale! Di lì a poco entrambi i locali subiscono atti di vandalismo compiuti dai misteriosi VE.R.Z.A. Sarà compito di Rahmaan e degli amici Aarif e Polpetta scoprire i colpevoli, mentre la campagna elettorale entra nel vivo.

Anche l’imam della comunità musulmana ha i suoi grattacapi: per trasformarla in moschea è in procinto di acquistare l’area dove sorge una chiesa in rovina che fa gola a uno speculatore immobiliare senza scrupoli. Un romanzo dove si ride molto seriamente.

7 luglio 2023 – incontro con Adrian Bravi

Gruppo di lettura – 27 giugno 2023

Di cosa tratta La portalettere?

Ispirata a una storia vera di cui la scrittrice trovagli indizi nelle carte di famiglia, La portalettere è sia la vicenda di una donna straordinaria  sia un romanzo storico in cui eventi, sentimenti e citazioni letterarie si intrecciano perfettamente, dando vita a personaggi, storie, segreti svelati e altri che tali rimarranno sempre.

Anni 30.

Anna, conosciuto Carlo nella sua Liguria, si trasferisce, con il loro figlio di un anno, Roberto, a Lizzanello, un paese (inventato ma verosimile) del Salento.

La protagonista è estremamente convincente, realistica, imperfetta eppur eroica.

Diffidente verso un Sud che non conosce e le pare retrogrado, si concede il vezzo di intercalare frasi in italiano con espressioni in francese. Ma è anche additata da tutti i nuovi compaesani, animati dalla medesima diffidenza, e lacerata da tormenti interiori, soggetta a tradimenti che mai immaginerebbe, ma la accomunano alle altre donne.

Essere donna è, all’epoca, aderire ad un ruolo preciso che si realizza nell’essere moglie e madre accudente, estranea alla cultura e alla politica e più interessata ai pettegolezzi, spesso impietosi e falsi.
Ma Anna non sta al gioco: parla chiaro, non abbassa lo sguardo, rivendica la sua libertà e la sua indipendenza.

Scatenando lo stupore e l’indignazione nel paese, ottiene il posto, rimasto vacante, di portalettere: prima a piedi, poi in bici, lavorerà con passione, non limitandosi a smistare e consegnare corrispondenza.

Lèggerà e risponderà per chi non è capace, porterà notizie da quanti sono lontani al fronte o impegnati per lavoro in America, troverà stratagemmi per far comunicare amanti che devono rimanere incogniti, accetterà caffè anche da chi è emarginato, concedendosi una pausa se le consegne non sono eccessive.

E, giunto il momento del referendum sul diritto di voto alle donne, avrà parte attiva, militando nel partito comunista, che non tradirà nemmeno quando il marito sarà sindaco per la Democrazia Cristiana.

Ma la storia non termina qui: fonderà una casa delle donne per accogliere orfane, ragazze abusate, ragazze madri, ex prostitute: tutte povere e disperate senza istruzione.

Allestirà un’aula, camere da letto, laboratori vari, una cucina e un orto, cercando e riuscendo a rendere le ospiti scolarizzate, consapevoli del proprio valore di persone e donne, pronte a essere economicamente autonome attraverso l’apprendimento di un mestiere.

Ma questa non è solo la storia di Donna Anna, colei a cui il vino del marito è dedicato, ma soprattutto di un reticolato di amori segreti, negati, sospirati, traditi.

Amori che infiammano, lacerano, che sono fatti di carne o solo di poche parole e molti sguardi e che portavo, a volte, alla rovina.

Storie di un tempo, quando un consorte era per sempre, quando un figlio fuori dalle nozze era una vergogna, quando nell’amare una donna rischiava sempre di più, perché per lei non era previsto il perdono e si sa, i masculi, peggiorano, tradiscono, scappano, ma le mogli, se non malafemmine, sopportano, da vere matriarche.

Se non tutti sono uguali, in questo intreccio nessuno può dirsi del tutto innocente, privo di tentazioni, ideali, notti insonni fra libri, conti e impeti di passione.

Gruppo di lettura – 23 maggio 2023

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Comincia nel 1992 e finisce nel 2011 la storia raccontata da Rosella Postorino in Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli). Al centro ci sono un gruppo di ragazzi che nell’estate del 1992 vengono mandati in Italia da Sarajevo, che è sotto assedio da parte delle forze serbo-bosniache. Sono diversi per età, ceto sociale, religione: alcuni non sognano altro che integrarsi nel nuovo paese e dimenticare la paura e la fame, altri pensano in continuazione a chi è rimasto in quell’inferno. Tra questi ultimi c’è Omar, che pur legato al fratello maggiore Sen, sente la mancanza della madre, e nei primi mesi a Rimini si rifugia su un albero per non stare con gli altri;  dopo essere stato dato in affidamento a una coppia scappa di casa e si mette a vivere di espedienti finendo anche in prigione. Poi c’è Danilo che viene da una famiglia agiata e colta e in Italia studia legge e si riunisce con la madre e la sorella, traumatizzate gravemente dalla guerra. Il punto di unione tra questi due ragazzi è Nada, la bambina senza un dito, che spesso dice di averlo perso per la guerra per nascondere quello che succedeva a casa sua: sia Omar sia Danilo sono attratti da lei e traggono forza dalla sua presenza. Ma Mi limitavo ad amare te è anche un libro di madri: madri che si separano dai loro figli per proteggerli, madri che dopo aver visto l’orrore non ce la fanno ad andare avanti, madri adottive piene di dubbi e fragilità. Un romanzo in cui la Storia viene vista con gli occhi di giovani che al trauma della guerra hanno aggiunto anche quello dello sradicamento.  

Una volta Ivo le aveva detto: Quest'idea che ci hanno inculcato, di dover essere felici, è un castigo. Chi ce l'ha inculcata?, aveva chiesto Nada. Sei figlio di una prostituta, sei scappato da una guerra, ma chi ti ha inculcato a te l'idea di dover essere felice? Aveva riso anche lui. Boh, un certo cinema, aveva detto, certe storie. E quella cazzo di Costituzione americana. Lei si era piegata in due dalle risate. Non abitiamo in America, gli aveva risposto.

Gruppo di Lettura – 26 aprile 2023

Già, perché in questo museo (cui in copertina vediamo esposti gli oggetti) non troviamo altro che i simulacri di tutte quelle promesse fatte e non mantenute, oggetti evocativi di quel dolore che coviamo dentro di fronte a delusioni subite, emblemi di ferite che non si rimarginano, in grado di far riaffiorare nei visitatori i traumi che avevano rimosso e che prima di varcare la soglia del museo giacevano nascosti negli anfratti polverosi delle loro menti. Volete un esempio? Che cosa potrebbe rappresentare un velo da sposa? «Ah, l’amore, un’orrenda colpa!», disse chi rinchiuse il suo cuore in un forziere. Provate a immaginarvelo, ve lo dico? Una promessa di nozze mancata. E così via, affogate anche voi nel mare delle promesse infrante immergendovi in questa lettura, ricordandovi però di riemergerne.

Il resto della narrazione (la maggior parte della trama, per la verità), verte sugli avvenimenti storici narrati con perizia di dettagli dalla mano dell’autrice e messi in bocca a Laure, catapultata dal suo museo di Parigi alla Praga del 1986, nel tetro panorama del regime sovietico, per mezzo del racconto che lei stessa svolge (con una qual certa uniformità e piattezza di tono, è lecito dirlo) a una giornalista sopraggiunta nella Ville Lumière interessata a redigere un articolo sul suo interessante museo.

Il museo che Laure ha aperto a Parigi, nel quartiere di Canal Saint-Martin, è unico al mondo. Vi sono esposti gli oggetti più disparati, portati lì da diversi donatori per raccontare la loro storia sospesa: sono infatti simboli di promesse infrante.
 

Per Laure, padre inglese e madre parigina, quel luogo è praticamente l’unica ragione di vita. Perché l’esistenza di Laure è rimasta impigliata in un luogo e in un tempo lontani, nella Praga del 1986. La sua vita attuale è essa stessa il frutto di una promessa infranta. L’incontro con la giovane May, giornalista senza troppi scrupoli, inizialmente è seccante per Laure.

Non ha alcuna intenzione di svelare quel mondo che tiene sepolto dentro di sé da decenni. Eppure, a poco a poco, grazie a quella ragazza impertinente il passato inizia a riemergere.
 

Essere trasportati nella Praga del 1986, dentro la cortina di ferro, e poi nella Berlino del 1996, nella Germania da poco riunificata, è affascinante e inquietante allo stesso tempo.

La bellezza e la vita pulsante della città boema, piena di arte e passione, sono rese cupe da un regime che tutto spia e tutto controlla. Con la violenza, se serve.

Laure a Praga arriva a vent’anni; per un’estate è la ragazza au-pair di Petr, dirigente di una casa farmaceutica e persona molto influente, e della bella e problematica moglie Eva. L’atmosfera praghese la trascina subito in un vortice, l’incontro con Tomas, giovane musicista considerato sovversivo, e con il gruppo di amici del teatro delle marionette, la travolge.

Questo amore giovane e impetuoso è descritto con tratti netti, con i colori intensi che gli si addicono. La luce del sentimento e della passione è resa ancora più intensa dal contrasto con lo sfondo: una società dove brulicano nel buio forze violente, dove tutti possono diventare delatori, carnefici, traditori.

Chi è dalla sua parte?

Di chi può fidarsi?

Ma esiste, qualcuno di cui fidarsi?

Alla fine di quell’estate Laure se n’è andata, ma Tomas non ce l’ha fatta, e lei non ha mai saputo cosa sia successo a quel ragazzo che ha amato come mai nessun uomo dopo di lui.
 

Ma il bisogno di sapere non si è mai esaurito. È rimasto chiuso dentro il petto di Laure, come in una delle teche del Museo delle promesse infrante.

Forse è arrivato il momento di rompere il vetro.

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