Incontro 2 maggio 2017

Un racconto proiettato nel futuro e, nello stesso tempo, una retrospettiva storica. Il futuro immaginato è quello di un mondo sconvolto da catastrofi di proporzioni planetarie, un mondo dove il regresso della civiltà umana e il peggioramento generalizzato delle condizioni di vita costringono gli uomini a cercare nuove (o vecchie) forme di resistenza, di sopravvivenza e di organizzazione della vita associata. Una piccola città viene assediata da un esercito di predatori, al quale danno sostegno alcuni traditori del luogo. Il fatto cade nel corso di un anno, il 2017, in cui ricorre il quinto centenario dell'ultimo assedio subito dalla città nella sua storia passata. Così gli eventi vissuti dai protagonisti e quelli da loro rievocati si intrecciano in una sequela analogica a volte apparentemente casuale, altre volte tuttavia coscientemente programmata. Tra i difensori della città emergono i due protagonisti, che in passato, anteriormente alla catastrofe, avevano condotto ricerche storiche sul territorio. Ai due si aggiungerà una singolare figura femminile. Essi si ritrovano così a vivere in prima persona vicende che avevano cercato di ricostruire. Pur tuttavia rimane desta in loro la coscienza di vivere un terribile presente, nel quale si sentono impegnati ad impedire un esito dell'assedio diverso da quello precedente e a salvaguardare per un futuro quanto mai oscuro la memoria storica della comunità, della loro vita e dei fatti di cui sono stati spettatori attivi.

One Response to “Incontro 2 maggio 2017”

  • Valeria Gramolini scrive:

    L’ULTIMO ASSEDIO

    di Roberto Bernacchia

    (commento di Valeria G.)

     

    E bravo Roberto! Hai scritto una storia davvero singolare ed avvincente, almeno per me che non sono avvezza a racconti di guerra nè a narrazioni storiche.

    All’inizio m’è parso difficile entrarci, anche per il tono narrativo alto e forbito che mi richiamava alla memoria Il nome della rosa, ma poi quasi subito il tutto ha preso una piega più abbordabile, per sembrarmi poco più avanti ancora diverso e, a dire il vero, un tantino noioso, quando la narrazione riguardante le sedute consiliari era proprio quello di noiosissimi verbali. Si è trattato però di un passaggio breve e necessario, teso forse a dimostrare quanto a volte la burocrazia sia da ostacolo all’azione.

    Superato lo sbandamento iniziale la vicenda mi ha intrigato con la faccenda delle gallerie e delle contromine e, in definitiva, anche con il racconto dell’assedio, denso di strategie militari, riflessioni personali e confronti su come costruire la difesa, saper valutare i bisogni della popolazione e la quantità degli approvvigionamenti necessari a resistere ad un lungo assedio, il tipo di armamenti in dotazione e quelli eventualmente da costruire, i drappelli in avanscoperta, l’addestramento delle reclute e via dicendo. Tutte questioni insomma delle quali non mi sono mai interessata.

    Con mia grande sorpresa sono entrata a poco a poco nel vivo del racconto sentendomi come un ragazzo che, al pari di Ruben, deve attrezzarsi, per finta e per gioco, ad estenuanti combattimenti. Mi scorrevano davanti agli occhi i fotogrammi di certi films di guerra, da quelli che hanno come protagonisti gli antichi romani a quelli che sono diventati serie televisive di successo, tutte produzioni che abitualmente non frequento perchè alla fine mi sembrano tutte uguali e poi storie di guerra o polizieschi in cui muore ammazzata un sacco di gente non sono il massimo per i miei gusti.

    Eppure questa volta mi è piaciuto calarmi dentro la storia di questo assedio, vuoi perchè conoscendoti te lo dovevo, vuoi perché mi sono divertita a cercare luoghi e persone di cui velatamente parli, come l’inconfondibile Don (Alde)Miro, vuoi perchè era ben scritto e senza errori di stampa, come capita sovente. Non trascurabile infine il fatto che, ad un certo punto, è comparsa Lisa e la durezza dell’atmosfera si è ingentilita, anche se a dire il vero m’è parsa la parte meno convincente. Un’esagerazione romantica questa donna che, come la Beatrice di Dante, si pone come tramite tra l’uomo e Dio. Ma forse la cosa era intenzionale, come se arretrate fino al 1517 fossero non solo le condizioni di vita ma anche i modi di vivere i sentimenti., oppure quella non era che la premessa per il simpatico finale a sorpresa, di tutt’altro tenore.

    A tratti m’è parso un libro buono da proporre ai ragazzi poiché la vicenda altro non è che un pretesto per parlare di questi nostri tempi e di quale futuro ci aspetti, magari proprio a Mondolfo, ex Monte Offo, dove giungono forse non solo profughi ma anche “duchi” poco raccomandabili a capo di mercenari e predatori di territori da sottrarre a privati che preferiscono vendere i campi  piuttosto che coltivarli. Così i borghi si spopolano e nelle aree verdi fioriscono outlet e centri commerciali….Che sia questo metaforicamente l’ultimo assedio?

    Ma ora bando alle chiacchere e veniamo alla storia.

    Siamo nel marzo del 2017. Dopo una gravissima crisi mondiale dovuta alle degenerazioni portate allo stremo di questa nostra civiltà, cioè globalizzazione selvaggia, speculazione finanziaria, inquinamento, guerre e distruzione planetaria, la popolazione sulla terra è quasi decimata. Si sono salvate parzialmente solo piccole “isole”, come Monte Offo, i cui abitanti, chiusi all’interno della cerchia muraria, stanno tentando di sopravvivere  attraverso forme di governo e di economia poco più che medioevali.

    C’è una specie di consiglio di saggi di cui il nostro protagonista, Ruben, fu promotore e del quale fa parte non senza porsi in dissenso con gli altri per un certo radicalismo, c’è un ritorno alla terra ed alle culture semplici e sane, non certo per scelta, come farebbe il macrobiotico Ruben, ma per necessità, in quanto mancano industrie e fonti energetiche che non siano la luce naturale del sole o il legname, c’è la riscoperta di attività artigianali fondamentali per produrre un minimo di benessere, una guida spirituale caritatevole ed una gestione comunitaria delle necessità dell’esistenza, con un forte senso della solidarietà e della condivisione, ed una particolare attenzione all’infanzia ed ai bambini in genere, a cui il nostro dedica parte del suo tempo.

    Essendo Ruben uno storico e grande studioso di fatti del passato, e spesso elemento di disturbo per amministratori che considerano di minima importanzale le questioni che egli solleva, comincia ad equiparare la situazione dell’attuale Mondolfo del 2017 a quella che si era verificata nello stesso terrotorio, allora denominato Monte Offo, cinquecento anni prima.

    Infatti alle mura della città accorrono profughi che non hanno più nulla, le cui città sono state prese d’assedio da uomini violenti ed armati, e le cui case sono state saccheggiate. Affamati ed ormai privi di tutto, bussano alle porte di Monte Offo e vengono accolti e saziati, integrandosi a poco a poco con la popolazione. I loro racconti sono inquietanti e gli amministratori (priori) si pongono il problema di come organizzare la difesa della città da un assedio che di lì a poco si verificherà sicuramente.

    In particolare Ruben e Nathan, casualmente indotti da un crollo nel terreno nella casa del barbiere a iniziare degli scavi, scopriranno delle gallerie intorno alle mura cittadine e sull’utilizzo di queste impronteranno gran parte della difesa, alla ricerca di ulteriori gallerie di contromina in cui, attraverso la dinamite, provocare dei crolli per impedire l’avanzamento dei nemici, i quali, come accadde in quel famoso assedio del 1517, cercarono di far breccia nelle mura scavando anch’essi delle gallerie  e ponendo cariche sotto di quelle.

    I due, aiutati da un piccolo drappello di uomini esperti di scavi, da un cane minatore di nome Offo, e di qualche muratore, quasi all’insaputa dei priori che considerano l’iniziativa la solita stramberia di un appassionato di archeologia, fanno scoperte sensazionali, tra cui quella di un ambiente più grande, con le pareti a volta di mattoni e non di tufo come quelle delle gallerie, e di un vano murato all’interno del quale, dentro grandi armadi, sono conservati i documenti dell’archivio storico del paese creduti perduti o bruciati.

    Pur nella disperazione generale dunque, mentre sopra le loro teste c’è un gran via vai per stoccare derrate alimentari ed approvvigionamenti, accogliere il bestiame in ricoveri di fortuna, fare l’inventario dei fucili e delle balestre, distribuire i compiti della difesa, sotto terra, Ruben e Nathan dissertano di strategie militari, di storia e filosofia, e di lasciare anch’essi un segno dei loro tempi  agli eventuali superstiti che li scopriranno, stavolta non su materiale cartaceo, ma sui dischetti del computer.

    Nel frattempo alcuni uomini fuori le mura demoliscono case ed edifici isolati per impedire il riparo dietro di essi degli eventuali assalitori, tranne che la discussa chiesa-convento di Santa Maria, e piccoli drappelli di giovani inesperti e malamente addestrati sono mandati in avanscoperta verso la Marina, dove pare siano giunte bande di razziatori.

    Rendendosi malamente responsabili dell’uccisione di tre nemici, fatto che riferiscono ai priori, fanno precipitare la situazione. Mentre i membri del consiglio si pongono sempre più all’erta e litigano tra di loro su chi e come mandare a controllare i territori, se sia giusto o meno farlo fare a dei giovani che fino a poco tempo prima hanno giocato con i videogiochi e passato gran parte del proprio tempo su faceboock, ecco sopraggiungere un esercito di seicento uomini malandati guidati da Valon che chiedono asilo, dicendo di essere stati attaccati da un’orda spietata di cinquemila uomini il cui terribile capo si fa chiamare “duca”.

    Dopo un serrato confronto tra chi vuole respingerli perché non si fida e chi invece, come Ruben, vuole accoglierli e farne degli alleati, il folto gruppo viene fatto entrare, rivelandosi successivamente assai utile alla difesa, per quanto vana.

    Infatti di lì a poco gli eventi precipiteranno rovinosamente . L’orda sopraggiungerà e stringerà d’assedio Monte Offo, i cui abitanti, rifiutandosi di negoziare un accordo suicida, non riusciranno a vincere l’impari lotta. Quando, proprio come nei fatti e nei tempi dell’assedio del 1517, il Duca, tra marzo ed aprile,  riuscirà ad aprirsi una breccia nelle mura a furia di cannonate ed esplosioni nelle gallerie, nonostante i pur efficaci tentativi dei nostri di contrastarli attraverso le gallerie di contromina, la superiorità militare del nemico risulterà evidente e devastante.

    Saranno proprio quei giovani a morire per primi. Come eroi della resistenza partigiana essi, contrariamente ad ogni aspettativa, si immoleranno senza risparmiarsi per la difesa di Monte Offo.

    Ruben, sempre ed ancor più scosso ed angosciosamente partecipe, sentendosi in colpa per essere lui, il più inutile di tutti, ad essere sopravissuto, si chiede come altri se non sarebbe stato meglio consegnarsi subito al nemico. Si sarebbero risparmiate molte vite. Ed è, mi pare, il quesito di sempre: resistere alla violenza ed alla prevaricazione o arrendersi?

    Infine viene organizzata la resa: donne, vecchi e bambini lasceranno Monte Offo e Ruben perderà la sua Lisa; gli uomini, invece, anche se feriti, resteranno entro le mura cittadine come ostaggio del Duca e del suo vorace eserito di mercenari.

    Così, forse, fu quello che accadde nel 1517. Ma oggi, cinquecento anni dopo, si può pensare di riuscire a cambiare la storia calandosi dentro quelle lontane vicende e ripercorrendone le tappe distruttive? Si può, alla luce di quella conoscenza e di quell’immaginazione fermare il degrado attuale, impedendo quella e questa rovina planetaria che, se continuiamo così, è certa e sicura?

    Questo si chiede Ruben, alias Roberto Bernacchia, storico ed archivista che, da esperto conoscitore del passato, sa che l’uomo in fondo è sempre lo stesso e che, anche se con modi e tempi diversi, si trova sempre a dover affrontare le stesse sfide.

    Eppure, se anche solo per un attimo facessimo tesoro degli insegnamenti di quelle lontane vicende, allora forse potremmo sperare di ridisegnare almeno la storia contemporanea, resistendo preventivamente e con lucida consapevolezza, al lento stillicidio di fiducia dell’uomo nelle proprie capacità reattive che i processi degenerativi della nostra epoca stanno sempre più corrodendo.

    Attraverso questo bel racconto metaforico Roberto Bernacchia ha per un po’ indossato i panni del Manzoni quando, con I PROMESSI SPOSI, cercò di denunciare le malefatte del suo presente prendendo a prestito gli analoghi fatti di qualche secolo prima. Visti i tempi il grande scrittore non poteva svelare il trucchetto, mentre Roberto, il quale vive in un assetto sociale che permette ancora la libertà di parola e d’opinione, alla fine cala la maschera, mostrando se stesso seduto alla scrivania tra montagne di libri mentre risponde alla Dodi, la moglie, che scherzosamente gli contesta di perdersi sempre dietro fantasticherie e velleità di scrittore.

    E per fortuna! Per fortuna che c’è ancora qualcuno che non vuole calare completamente le braghe e provare a resistere, interpellando con un bel libro denso di saggezza e competenza, le coscienze di ognuno.

    E per fortuna quei fatti immaginati sono per l’appunto solo immaginati; alla fine il dramma, divenuto davvero estremamente triste ed angoscioso, si stempera e si trasforma in ironico gioco.

    Se davvero la guerra potesse diventare un gioco da bambini e davvero le controversie potessero risolversi fingendo e calandosi dentro ruoli costruiti a bella posta come i mattoni Lego!

    Invece, purtroppo, non è così. Una larga fetta di umanità non crede che l’istinto alla sopraffazione possa essere sublimato attraverso le raccolte di soldatini o le simulazioni, le quali pure vanno di moda (vedi soft-air e War-games). Ma queste forse, più che distogliere dall’idea della guerra, ne alimentano inconsciamente l’attesa, addestrando nel frattempo giovani annoiati che non si accontentano più delle fionde o dei fucili con gli elastici a qualcosa che, vista l’aria che tira, sta diventando un evento sempre più probabile.

    Dovremmo dunque confidare su costoro, come nella storia di Roberto?

    Grazie a questo disincantato racconto abbiamo molte questioni su cui riflettere, sia come semplici cittadini, sia come educatori, genitori, amministratori o costruttori di pensiero.

    I fatti tragici incalzano, la follia di pochi che hanno in mano le sorti dell’umanità invalida ogni tentativo di risoluzione pacifica di controversie e tensioni e, quando manca la ragionevolezza, diventano impossibili le soluzioni razionali.

    Fino a che punto sarà praticabile la via della non violenza che la nostra civiltà ha giustamente elevato a valore etico, almeno formalmente, dopo il genocidio dello scorso secolo? Fino a che punto i nostri governanti riusciranno ad attenersi a quei principi e, infine, avrà  senso farlo o saremo costretti nostro malgrado a rispondere con uguale moneta al crescendo delle provocazioni?

    Come mettere in campo, anzichè atomiche e madri di tutte le bombe, l’idea che i fiumi di denaro profusi per dare morte possono essere spesi con eguale profitto, per dare vita e benessere a tutti i popoli della terra?

    Domande che si credeva di non doversi più porre, almeno nella nostra parte di mondo, tornano prepotentemente alla ribalta. Ogni giorno attendiamo con ansia  di conoscere l’evoluzione dei conflitti, delle esplosioni, dei suicidi dei kamicaze e nello stesso tempo cerchiamo di non pensarci, di andare avanti come niente fosse. E se invece fosse più avveduto costruire strategie difensive? Scavare gallerie di contromina ed accumulare derrate alimentari per prepararsi al peggio? Ma quale peggio saremmo in grado di sopportare visto il genere di armamenti  di cui oggi dispongono gli eserciti dei paesi più ricchi?

    Purtroppo bisogna riconoscere che il racconto di Roberto ha un che di profetico. Il quadro apocalittico che disegna della terra  non è molto lontano da quanto effettivamente è sul punto di accadere. Il mondo è a un passo dalla propria fine e, non a caso, mentre noi recuperiamo ipogei e grotte, come presagendo di doverle ancora usare, le agenzie spaziali degli stati più ricchi cercano la vita su altri pianeti. L’esplorazione dello spazio sta diventando qualcosa di ossessivo e presto sorgeranno nuove colonie tra le stelle, altre guerre ed altre spartizioni.

     “Ma noi non ci saremo” (citazione dai Nomadi).

    Per alleggerire quest’ultima parte del mio commento divenuta davvero troppo tragica e triste, citerò un breve passo della “Istoria dello Stato di Urbino” di frà Vincenzo Cimarelli (1642) che ho trovato su una locandina del Comune di Corinaldo, il quale ricorda anch’esso l’assedio del 1517 con una serie di eventi celebrativi. Torno cioè al passato, a quel passato dove le cose erano tangibili e le armi convenzionali, che laceravano le carni e facevano scorrere il sangue, non lasciavano nulla all’immaginazione, così che almeno si sapeva cosa ci si doveva aspettare.

     

    “ Correva l’anno della nostra salute 1517, Francesco Maria della Rovere Duca  di Urbino, essendo Leone X sommo Pontefice degli suoi Stati privato, sbandati gli eserciti, che militavano a Verona, e a Brescia, raccolse un grosso numero di Spagnoli, di Guasconi, d’Italiani e di altre nazioni d’Europa, che oziosi per l’Italia dispersi trovavansi; e di questi formato avendo un grosso esercito, co’l suo valore desideroso nel Dominio allargar, assalì la Marca; e avendola tutta conquistata disegnò d’aver Corinalto d’accordo, giudicando il possesso di quella Piazza; e l’affezione de suoi Cittadini esser molto per i suoi interessi a taglio; essendo ella posta in bel sito, né confini dello Stato suo, alle prime frontiere di essa Marca…”

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